…eppoi ci si rende conto che una gara è sempre una gara. E, in fondo, anche per i più “tapascioni“, una gara conterrà sempre in sé, implicitamente, in maniera più o meno dichairata, il concetto di “velocità”.
E’ qualcosa di intimo, certo. Qualcosa che riguarda ciascuno a livello personalissimo. Ognuno vive la gara e il crono a modo suo. Quello che è pressoché innegabile è che chiunque si iscriva ad una gara, anche quando presa in assoluta “amicizia” (con l’evento, con i compagni di squadra, con chi si trova ungo il percorso, con…il paesaggio, con l’esperienza) e “tranquillità”, lo faccia con dentro l’dea di terminarla “prima possibile”.
Con la speranza, ecco, di finirla entro un certo tempo. Magari, goliardicamente, prima di un amico; quasi sempre, prima del sé stesso di “prima”, dell’altra volta.
Il concetto di “velocità” si declina in mille modi, ovviamente; per raggiungere la sua estremizzazione quando si è professionisti o anche, magari, amatori evolutissimi.
In questi casi ci affida a tutte le conoscenze possibile; si assumono competenze approfondite di fisiologia e tecnica dell’allenamento; si fanno propri, (nel senso di “interiorizzazione”, letteralmente) i concetti relativi al metabolismo energetico; ci si fa guidare, in tutti questi passi da coach e da persone “più competenti di noi”.
In questi casi, ma in realtà “in generale”, per diventare più veloci bisogna “fare davvero le cose per bene”.
Potremmo asserire che la velocità sia una questione di “fibre muscolari” e dunque di una certa predisposizione genetica. Certo.
Ma poi…c’è tutto il resto. E, “il resto”, è tantissimo
Perché quello che davvero conta è il “come riempiamo di allenamenti”…il fattore tempo (a disposizione; quello che dedichiamo a questo processo di “miglioramento”).
La verità è che la nostra “velocizzazione” passa atttraverso una specializzazione delle fibre muscolari che richiede tempo. Che dunque attinge, certamente, alla genetica, ma ci lavora sopra e, con il tempo: lavora, sviluppa, induce efficienza, cambiamento, miglioramenti.
Velocità, si! Se questo è il nostro obiettivo.
Andiamo per ordine però.
QUANDO. Ecco, prima di tutto: “quando”. Il processo di “velocizzazione” potrebbe essere di particolare momento (anchein termini di “opportunità”) nel momento della programmazione che segna il passaggio dalla fase “generale” (quella,per intenderci, di “costruzione” aerobica e di strutturazione delle “qualità neuromuscolari”) a quella “specifica”. Tale fase è spesso chiamata -qualora si reputasse di doverla (e poterla ) introdurre all’interno del “piano annuale” – “FASE SPECIALE“. Questo perché serve appunto appunto a “lavorare” sui “punti deboli” o cmq sugli aspetti della programmazione che risultano più “carenti” e il cui miglioramento consentirebbe poi una ottimizzazione ulteriore della performance attraverso gli allenamenti poi previsti per la “Fase Specifica”, appunto. Ovvero, potrebbe riguardare gli atleti che hanno appena ultimato gare lunghe o lunghissime (i.e. una maratona o una Ultra) e “vengono” pertanto da un lungo periodo di “Aerobic Endurance” (allenamenti lunghi a ritmi (più) lenti) in cui hanno probabilmente perso brillantezza nel girogambe e hanno bisogno o desiderio di lavorare sulla velocità in vista di una fase della stagione che, probabilmente, riguarderà gare più brevi e veloci. Appunto.
PERCHE’. Il lavoro che si andrà a fare riguarderà l’efficientamento dei meccanismi energetici. Più propriamente quello aerobico lattacido. Il segreto sta nel trovare il sistema (allenante) per gestire al meglio il processo di “produzione <-> smaltimento” del lattato. Il problema di fondo, ormai chiaro, è quello di “togliere il fattore limitante la velocità” costituito dall’eccessivo accumulo di lattato che certi tipi di allenamenti innescano, quantità che non riesce ad essere smaltita/gestita. E’ qualcosa di assolutamente complicato perché si tratta, in pratica, per esempio, di limitare la prouzione di lattato a 3-4mmol/l anziché a 6-7-8mmol/l (come racconta Pizzolato in un suo recente post, tra l’altro).
COME. Allenamenti che prevedono ripetizioni (più) corte ad intensità leggermente più elevate (rispetto alla Velocità di riferimento); con recupero attivo e pari alla durata della fase veloce.
COSA. Ripetute brevi, dunque. Da 200 a 700metri. Da correre a ritmo gara dei 5000m (anziché alla “velocità diriferimento, tipicamente costituita dal proprio crono sul test più recente sui 10000m.). Con recupero, appunto, della stessa durata del tratto veloce. QUANTE. La progressione DEVE assolutamente essere graduale e dipende dalla tipologia di gara per cui ci si sta eventualmente allenando. Una proposta potrebbe essere di cominciare con 10x400m per poi arrivare a 16-20x400m. (recupero tra 50″ e 1′:30″). Oppure (fino a) 10-12x500m (rec. 200/300m di corsa blanda). Ovviamente si tratta di una delle tante iee possibili che, tra l’altro, inludono anche il tanto discusso Fartlek (in alcune delle sue forme) che, però, a RFW amiamo tantissimo!
ANZICHE’. Al posto delle ripetute più lunghe, dai 1000m. in su’. Che appunto determinano una produzione di lattato significativamente maggiore, più difficile da smaltire. Nonché uno stress mentale nettamente più elevato. Oltre a tempi di recupero, neigiorni successivi, decisamente più elevati.
QUANTE VOLTE. Due volte al mese essere la ricetta giusta. Che potrebbero diventare “una volta alla settimana” man mano che lo stimolo allenante produca i necessari adattamenti. Ci raccomandiamo, come sempre, “gradualità”.
PRE(REQUISITI). Che poi è un post-scriptum che semplicemente va a ribaire e a rafforzare quanto già detto più su. Allenamenti come questi necessitano di una solida se non solidissima base (fondamenta) costruita attraverso una costruzione aerobica e lo sviluppo di qualità neuromuscolari adeguate a sostenere carichi intensi come i “lavori” sulla velocità. Questo aspetto è fondamentale (da non sottovalutare affatto!!!) per ottenere i maggiori benefici e ridurre al minimo il rischio infortuni.
E dunque, a questo punto, non resta che augurare a tutti…”buona velocizzazione“!
Vincenzo Iannotta
Team Run For Wellness
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