180 ppm. Il mito dell’#idealediperfezione

Me lo immagino proprio così.

Proprio come l’ha descritta lui, questa “storia”. Storia di corsa, curiosità, studi, interesse, sviluppo.

Proprio come…SI E’ descritto lui, in questa STORIA.

Lui si chiama Jack Daniels e poco ha a che fare (forse, non sappiamo se ne consumi, in realtà) con i famosissimo whisky dalla bottiglia quadrata da cui non dovrebbe aver attinto nemmeno il nome.

Così, per la cronaca e sempre per non lasciare mai il bicchiere mezzo vuoto, ci teniamo a ricordare per dovere e diritto di “storia” che questo ultimo (il whisky Jack Daniel’s intendo) prende il nome da Jasper Newton Daniel che nel 1866 (in realtà 1975) fondo la sua prima distilleria nel Tennessee. Ma questa è, appunto, un’altra storia di altre fortune.

Me lo sono immaginato così, dicevo, proprio così, Jack: a bordo pista, cronometro e taccuino alla mano, a…contare.

Il conto dei passi

“…durante i Giochi, insieme a mia moglie, ho trascorso ogni singolo giorno delle gare di corsa a contare le diverse frequenza degli appoggi, spesso varie volte perlo stesso corridore, durante le batterie finali e anche all’inizio e alla fine della stessa gara”.

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A contare. Contare. E poi ancora.

Contare…i passi.

1,2,3,4,5,6,7,8,9,10,11…100…180.

Okay.

Di nuovo.

1,2,3,4,5,6…180.

Ancora.

180!

Diciamo…più o meno…180.

Atleta dopo atleta…su quella pista, si sussrguivano passi differenti, canotte differenti, distanza differenti ma con una unica costante. Il loro #numerodipassi. 180, al minuto. Circa.

“Complessivamente (quella volta, ndr) abbiamo analizzato 50 corridori, uomini e donne, in diverse gare, dagli 800m alla maratona”.”

Jak Daniel è ex pentatleta olimpionico. Poi diventato uno degli allenatori di runner più rilevanti della storia, un pioniere nella rilevazione dei dati per la corsa e nella strutturazione di modelli scientifici per running&runner a partire da questi.

Basti pensare che c’è (anche, soprattutto) lui intorno a definizione e teorie di “robe” come VO2Max, soglia del lattato e efficienza/tencica di corsa. E’ stato lui a scrivere uno dei manuali “sommi” per la corsa: il famosissimo Daniel’s Running Formula (che speriamo presto di “recensire” e che puoi ordinare su Amazon tramite il nostro link).

Come, dove, quando

L’anno è il 1984. Jack, adesso, allena runners. E ha cominciato a “studiarli”. A raccogliere dati, un monte di dati, infiniti dati. A definire e trovare relazioni tra tempi e “consumo di ossigeno” e come i primi, in realtà, siano impattati dall’efficienza di corsa. Su come si muovono, come corrono; su cosa accomuni gli atleti di “elite”; sulla frequenza e la lunghezza del loro passo.

Apro un’altra parentesi, visto che ho menzionato il “consumo di ossigeno”. Jack Daniels è famosissimo nel mondo del running perche il suo metodo, la sua “formula” di allenamento, si basa sui valori di VDOT, appunto. Le sue tabelle si fondano sulla definizione del valore di VDOT del runner (quei dati, racolti insieme al super informatico Jimmy Gilbert, venivano dati in pasto ad un computer per generare le tabelle originarie di VDOT, appunto)…e sulla base di questo valore definiscono, ancora, i ritmi da tenere per le varie tipologie di allenamento (e per il raggiungimento dei propri obiettivi). Ma cos’è il VDOT? Lo sapete? VDOT si riferisce a VO2Max la cui pronuncia corretta, in inglese è “V dot O2” perché sopra la V è presente un punto (dot) che indica che il Volume (V) è il “volume (di ossigeno) in un minuto”. Chiusa parentesi.

La città di questi studi e conteggi è Los Angeles. Lo scenario è costituito dallo spettacolo delle Olimpiadi che quell’anno, appunto, si tengono lì.

Jack Daniel studia. Osserrva. Conta. Afferma che “la frequenza (di passo, ndr) era molto superiore ai 200 passi al minuto (ppm) negli 800m e talvolta nei 1500m, ma dai 3000m (gara esclusivamente femminile alle Olimpiadi del 1984) alla maratona la frequenza è risultata abbastanza simile in tutte le gare; nelle gare più lunghe si riduceva leggermente solo la lunghezza della falcata.”

Centottanta, dunque

“Fra tutti i corridori esaminati, solo uno ha corso con una frequenza minore di 180 appoggi al minuto”.

Jack guarda quel numero e lo…vede come una sorta di “costante”.

Come qualcosa che sembra appartenere agl atleti di elite e che dunque rappresenta una sorta di “valore” a cui…mirare. Vero il quale tendere.

Una sorta di valore universale della perfezione del passo. Quello che, secondo lui, serve a “minimizzare, nella corsa, l’urto del piede al momento dell’atterraggio”.

180 passi per minuto è diventato così…emblema.

E’ il numero che tutti i runners ricordano. Che, mentre scaricano i dati dei loro sportwatch osservano…e cercano di capire quanto siano “distanti” dalla “perfezione” (mi piace pensare così…che questo possa essere un pensiero comune). E, magari, come fare a raggiungerla…aumentando, probabilmente, la frequenza di passo.

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“Tenete in considerazione -scrive Daniels- che più lenta è la frequenza delle gambe, più tempo rimarrete in aria e di conseguenza solleverete di più la vostra massa corporea, finendo quindi per atterrare più duramente sul terreno a ogni appoggio. Credetemi, molti piccoli infortuni sono dovuti proprio a questo tipo di impatto con il terreno”.

180 passi dunque. SI o No?

NI. Ecco.

Tra gli atleti amatoriali, si rilevano differene di (frequenza di) passo…enormi. Il range va da circa 165 a circa 210. Molto dipende dall’altezza, per esempio. Atleti “alti” hanno generalmente frequenza più basse.

Molto dipende da…noi stessi: perché ciascuno ha una”frequenza” che massimizza la sua efficacia di corsa, minimizzando l’impatto sull’organismo (a tutti i livelli, in particolar modo muscolare e articolare) e il costo energetico della medesima.

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E allora potrebbe rivelarsi controproducente e/o sbagliato (provare a) portare (o portarSI) tutti a una frequenza di passo comune, benché rappresenti l'”optimum” secondo la statictica e la scienza.

Ma quello che è bene sapere è che, appunto, esiste una “frequenza ottimale” a livello biomeccanico.

Un valore al quale, ecco, se si ritiene di avere margini di miglioramento – se si ricercano margini di miglioramento- si puo’ provare a tendere. Con calma, pazienza, impegno e con esercizi e metodologie giuste.

180 è unque un valore “ideale”. Un valore “teorico” di ideale perfezione.

Adesso sappiamo cosa è. Come è nato questo “mito”. Cosa significhi. Cosa farcene.

Eventualmente.

Post scriptum e bersaglieri

Una nota di “colore”.

Hai presente i Bersaglieri? Il corpo dell’esercito famoso per la sua “piuma” e per il suo “passo di corsa”, ecco.

Fu idea del generale Alessandro La Marmora di possedere reparti di fanteria celere, al fine di velocizzare le manovre sul campo di battaglia; idea…vincente!

L’idea divenne realtà il 18 giugno 1836 e i primi fanti piumati furono i suoi granatieri.

Si narra che durante la loro presentazione (ossia dei neo bersaglieri) al re, questi anticiparono il corteo reale aggiudicandosi la caratteristica che li contraddistingue dai fanti, cioè il passo di corsa.

Da 180 battute al minuto. Esattamente.

 

Vincenzo Iannotta

Team Run For Wellness

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