Federico e l’arte della scomposizione in particelle elementari: Rossi, il rosa e un #bellissimolibroancoradascrivere

“Hai detto che ero debole. Hai detto che non potevo farlo. Grazie. Mi hai dato tutto ciò di cui avevo bisogno per dimostrare che ti sbagliavi.”  (S. R. Prefontaine)

Mentre ascolto Federico la prima cosa a cui penso è che ci sono davvero tanti libri-non-scritti, di sport, di vita.

Libri come contenitori di esperienze che se scritti, raccontati, letti, donerebbero all’esistenza…l’essenza. 

Ci eravamo sentiti al telefono qualche giorno prima, io e Federico Rossi Cupertori.

“Chiamalo”, mi aveva detto Viola (Tinè), mia compagna di squadra, amica ed esempio, non solo di sport. (Grazie ancora, Viola, di cuore. Per tutto!). “E’ una bravissima persona, allena un bellissimo gruppo di persone speciali”, ha aggiunto.

Sono arrivato qualche istante prima di lui, davanti al quel bar: per conoscerci, ascoltare l’un l’altro: vita vs progetti…o magari, ancora meglio, vita&progetti. Di sport, di vita, ancora, si.

Conoscerci, ascoltarci.

STRIGERCI LA MANO.

Come si fa con le persone di cui non si ha paura, di cui si ha stima prima ancora di conoscerle, di cui si ha fiducia…ecco…anche…di quelle del tipo “incondizionata”. Perché qualche pezzo di storia li precede e ti basterebbe già quello per scriverci su, almeno, l’inizio del libro.

Mi piace arrivare prima di chi sarà con me, per non far aspettare. Perché il tempo è prezioso: il tuo più del mio, probabilmente. E anche perché, mi piace vedere, ammirare, osservare…il primo momento con una persona. Il suo modo di arrivare, il suo primo -magari- sorriso, il passo con cui riempie il tragitto verso il nostro stesso luogo.

Quando è arrivato, Federico aveva in mano una maglietta rosa. Bellissima.

Un sorriso. 

Trovarsi.

“Piacere, Federico”. 

“Piacere, Enzo…grazie di essere venuto, Federico”

“Questo è un dono per te: la nostra maglietta”.

“…grazie…ma…ma…è troppo per me. Che bellissima sorpresa. Che bellissimo pensiero. Mi onora. Grazie.”

La maglietta è quella della squadra che Federico allena.

Allenare.

Cercate però di guardare a questo verbo come qualcosa di vasto, ampio, grande…anche immenso se ci riuscite.

Allenare, per Federico, è qualcosa che signifca “entrare dentro” la volontà di sport delle persone, degli atleti. E’ farne parte. E’ trasmettere e condividere. E’ ascoltare, sentire, farsi carico. Combattere, sudare, correre, arrivare al traguardo…INSIEME.

Mi sento un po’ a disagio come sempre quando qualcuno mi “regala qualcosa” senza che io l’abbia fatto prima di lui.

E Federico, insieme alla maglietta, mi sta regalando istanti preziosi del suo tempo. E di sé.

“Due caffè, grazie”.

Sono le ore 9:30 del 6 Aprile 2024 e questo prezioso regalo, il primo di una lunga serie per me, durerà un’oretta e mezza.

“Ho fatto atletica fin da piccolo, mi dice. Facevo salto in alto.”

(…Pausa…)

“Poi non ho potuto più farlo.

Mi indica una cicatrice che dalla parte posteriore del collo sale per un tratto infinito. Non l’avevo vista. “Ho dovuto affrontare un piccolo intervento”.

Lo definisce così, quell’inizio di lotta contro “il male”. Ma anche la fine, perché quel male -per fortuna- sembra appunto essersi esaurito con l’ultimo millimetro di quella cicatrice.

“Perché sai? Il cervelletto è la “sede” della coordinazione…e quando te lo toccano…non riesci più come prima. E ho dovuto smettere col salto in alto.”

Non ci ho sofferto molto. A volte però ci penso a come sarebbe potuta andare se avessi continuato. Magari mi sarei scoperto Tamberi: sai, me la cavavo, ero bravino. Saltavo bene, mi allenavo tanto, ci tenevo.”

E mentre mi dice questo sembra estraniarsi per tornare un attimo ai suoi allenamenti di quel tempo: “provavamo ogni fondamentale centinaia di volte…finché non veniva perfettamente”.

Sorride, il Tamberi mancato. “Perché poteva succedere di scoprirsi vincente, sai? A quei tempi eravamo in…5 a fare salto in alto in Italia. Forse 6”.

E la sua ironia mi strappa un sorriso. Sorridiamo.

Il suo sguardo, mentre (si) racconta è attento.

Parla poco Federico. Misura il tempo. Sembra pesare parole e istanti.

Mentre lo ascolti ti viene da pensare a quanto sia importante il modo in cui le persone ti dicano le cose. La pause, i sospiri, gli sguardi (magari anche in un luogo più in là, come se più in là ci fosse quel pezzo di passato che stai rivivendo con tutto te stesso, con la stessa passione di un tempo, mentre con le parole cerchi di realizzare un quadro…per offrirlo a chi ha l’onore di starti accanto), le parole stesse: pennellate di vita che si prendono la tela del tuo animo e ci si imprimono sopra.

“Alcune persone creano con le parole o con la musica o con un pennello e colori. Mi piace fare qualcosa di bello quando corro. Mi piace far fermare le persone e dire: Non ho mai visto nessuno correre così prima d’ora.” (S. R. Prefontaine)

“Parlami del tuo progetto”, mi dice. Gli racconto la storia, le speranze e la voglia di trasmettere la passione per la corsa e lo sport tramite Run For Wellness. In realtà, tramite le storie di forza, rinascita, riscatto, passione, di cui è intrisa la corsa. Come essenza di se’ stessa.

Mette una mano su quella maglietta e mi dice: “Questa è pienissima di storie belle

Colori pieni di storie

“Racontamente qualcuna, ti va?”

“Si. Quel percorso post-intervento, un po’ lunghetto, mi ha fatto capire molte cose. Ho conosciuto tante persone ma soprattutto ho conosciuto me stesso: le mie difficoltà e il modo di affrontarle, i miei limiti e il desiderio di provare a superarli. L’atletica mi era rimasta nel cuore e piano piano ho rimesso le scarpe ai piedi, ma stavolta quelle da corsa. Mi sono allenato con passione e qualche anno dopo (nel 2014, a 12 anni da quella sua “cicatrice”) ho fatto la mia prima Maratona”

Sembrano brillargli gli occhi, ma forse è la bellissima luminosità che c’è quel mattino.

“Poi ho deciso di prendere il patentino da istruttore di running, perché volevo seguire le persone nel loro percorso…di corsa. Così come sapevo fare io, con il mio vissuto e la mia passione. Sono istruttore Fidal”

Guardo quella maglia e Federico se ne accorge.

“Come ti sei trovato a fare da allenatore ad un gruppo così...rosa? Così speciale, così bello?”

“Mi ha chiamato la Fidal perché Fondazione Veronesi stava valutando l’opportunità e la possibilità di creare un gruppo di “Ambassador” anche a Perugia: “noi abbiamo subito pensato a te”, mi dicono.”

Non potevo non accettare. Per qualche anno mi ci sono dedicato con tutto me stesso.

Tra le Pink, ho conosciuto anche W. che adesso vive con me. Viviamo a pochi passi da qui.”

“Siamo quasi vicini di casa, insomma”…gli dico. (praticamente 2 kilometri!)

“W. è una che corre, sai? Solo che adesso si è dovuta fermare per un contrattempo.”

Il secondo.

La storia di W. meriterebbe un altro libro e mentre l’ascolto mi vengono i brividi.

L’arte di…donare forza

Ripenso a quel modo “delicato, dolce” di raccontare le cose difficili che solo chi ha vissuto (e magari, vive) il dolore, la delusione, la tristezza, la trasformazione del rimpianto, la speranza, il dover cercare la forza in luoghi di te stesso che non pensavi esistessero, il riscatto, la rivincita magari…sa trovare.

Sembra, come dire?! che Federico sappia trasformare il dolore…il brutto…Anzi no…a…

                      …scomporlo“…

Sappia ridurlo nelle sue particelle elementari. Perché nel trasmetterlo, chi ascolta, non lo avverta nella sua natura, ma in un’altra…

Sembra un dono ricevuto, naturalmente, attraverso le difficoltà di un percorso incredibile, difficile, ma straordinario.

Sembra un dono che gente come lui sa fare, così, naturalmente, perché nel ricomporre quelle “particelle”, si percepisca…forza.

E’ una sensazione strana…difficile da raccontare: lascia senza fiato, fa venire un sorriso in più, fa…EMOZIONARE.

“Dopo qualche anno ho sentito di non riuscire più a dare il massimo e ho chiesto di fermarmi. Le ragazze hanno continuato, con un altro allenatore. Poi mi hanno di nuovo cercato. Mi ha chiamato il presidente in persona: Federico, o tu o nessun altro. Altrimenti il gruppo non continuerà. Te la senti di tornare con noi, in rosa?

Federico mi guarda un istante, prima di sussurrare:

Come si fa a dire di no?!

“Non aver paura di rinunciare al bene per il bene.” (S. R. Prefontaine)

Già. Nonostante le difficoltà e la stanchezza di certi momenti. E il lavoro, quello vero, che non ti dà pace e ti assorbe comunque troppe energie.

“E’ un compito delicato, sai? Bisogna essere al 100%. Bisogna saper ascoltare anche quando non ti parlano; bisogna imparare a vedere e gestire le fragilità di ciascuna. Si impara, ci vuole tempo. Bisogna sapere trasmettere la determinazione con fermezza, ma anche con estrema dolcezza. Non è facile. Ma forse ho capito come si fa e le ragazze, nonostante tutto, mi seguono. Ci capiamo. Andiamo insieme verso lo stesso obiettivo.”

Il “Progetto Pink”

“Qual è l’obiettivo delle Pink, Federico?”

“Ci alleniamo per arrivare a fare la nostra prima gara competitiva’ dalla remissione della malattia, dopo un percorso di circa 6 mesi. C’è chi farà una 10km camminando o correndo, chi una 21Km. Ognuno fa quello che riesce. Noi ci alleniamo per arrivare finalmente ad un traguardo di normalità attraverso lo sport”.

Il Progetto Pink è nato (nel lontano 2014, in seno alla Fondazione Veronesi) “con lo scopo di dimostrare come praticare attività fisica costante aiuti a diminuire il rischio di ricadute nelle donne che sono già state colpite dalla malattia.”

Federico mi racconta alcune Storie dentro quella maglia. Questa maglia.

“Mi ricorderò sempre quel momento. Eravamo a Ravenna. C’erano le Pink di tutta Italia. Io avevo deciso di non correre per lasciare a tutte il loro passo e la libertà di viversi quell’esperienza. Le aspettavo al traguardo. Ero molto in ansia. Speravo con tutto il cuore che ce la facessero tutte, ad arrivare in fondo. Arrivarono tutte, le mie Pink. Ricordo quando arrivò M. che partecipava alla “Mezza”. M. è molto chiusa, che non aveva mai mostrato grandi emozioni. Arrivò al traguardo, mi venne incontro. Mi abbracciò, in lacrime.  Ce l’aveva fatta. Ce l’avevamo fatta.”

(Pausa)

“Sai, Enzo, io non sono uno che si commuove facilmente. Ma quella volta, in quel momento, ho pianto. Di emozione. Di gioia. Di tutto”.

E’ in momenti così  -e ce ne sono tanti- che senti che “non potevo dire di no

Restiamo un attimo in silenzio, al nostro tavolino. Prima del secondo caffè con spremuta. E dei saluti. Non so a cosa pensi Federico di preciso, forse sta rivivendo quel momento. E tanti altri magari, che, come diapositive, gli stanno scorrendo nel cuore in quell’istante.

Io…sto cercando di immaginare quelle emozioni.

Prima di salutarci, restiamo d’accordo che ci ritroveremo a qualche allenamento delle Pink.

Salutami, Viola. E ringraziala da parte mia“, mi dice allontanandosi.

(“Certo, Federico”. Il ringraziamento sento essere…condiviso. E a Viola manderò subito un messaggio per raccontarle di questo prezioso momento)

Ri-trovarsi.

Vado a trovare Federico qualche settimana dopo, al Percorso Verde di Perugia. 

Mi sento felice ed onorato di conoscere le straordinarie “ragazze in rosa” che mi presenta, pronte per l’allenamento e felici di quel tempo dedicato a se stesse.

Facciamo 4 passi prima che la seduta inizi.

Gli chiedo di W. che, tra l’altro, è mia compagna di squadra all’Atletica Avis Magione.

“E’ una combattiva e molto competitiva, sai? Da buon odiatissimo compagno e Coach le ho inserito in tabella 10000 passi da fare in reparto, mentre lotta aspettando la dimissione. Credo che ne farà il doppio. Siamo fiduciosi, comunque, si. Il morale è alto”.

Federico e W. sono così.

Scompongono naturalmente il dolore e la sofferenza in 10000 passi…perché tu, anziché un grumo, un tonfo, ne possa percepire…la spinta.

Resto ad ammirare, con curiosità, l’allenamento. Ogni tanto una chiacchiera. Poi ci dirigiamo verso la partenza, che è in realtà il luogo d’arrivo di queste serate. Quello in cui ci saluta, per questa volta.

Ispirare e Ispirarsi

Gli chiedo, tra un passo e l’altro, il fruscio del vento, il tramonto di quella sera, tanto verde punteggiato da un bellissimo rosa, un’ultima cosa.

“A chi ti ispiri, Federico? “

“Sai la Nike ha vestito fior di campioni, di tutti gli sport. Ma uno soltanto ha l’onore di avere una statua che lo ricorda davanti all’entrata del quartier generale di Beaverton, in Oregon: Steve Prefontaine. Il mio mito è lui.”

Già.  

“Il dare qualsiasi cosa meno del tuo meglio significa sacrificare…il dono.” (S. R. Prefontaine)

Post Scriptum.

Grazie Federico. Sei una grande persona. Ed è un onore dedicare la prima “biografia-a-modo-mio” di Run For Wellness: a te, al tuo impegno in “Pink”, alla tua vita.

A Federico, RUNLOVERS aveva già dedicato la sua STORIA, una storia che merita: L’ascia di guerra. E mai titolo fu più appropriato.

Vincenzo Iannotta

Team Run For Wellness

info@runforwellness.it